Ario de Marco (LELS – Università di of Nova Gorica, Slovenia)
I sarcomi rappresentano un gruppo ampio ed eterogeneo di tumori per i quali la prognosi è generalmente sfavorevole e le conoscenze biologiche sono ancora scarse. L’intervento chirurgico nelle forme localizzate è ancora il trattamento principale, mentre le opzioni mediche per i pazienti con malattia aggressiva ricorrente o con metastasi sono limitate seppur migliorate nel tempo grazie alla maggior conoscenza della biologia dei sarcomi (1). La diagnosi precoce della malattia attraverso lo screening sistematico delle popolazioni a rischio (cioè di persone con alterazioni genomiche critiche, almeno per alcuni sottotipi di sarcoma) porterebbe probabilmente a un miglioramento delle opportunità terapeutiche perché potrebbe consentire la rimozione di tumori primitivi piccoli e ancora localizzati. Tuttavia, data la bassa incidenza di ciascun sottotipo di sarcoma, è molto difficile riuscire ad avere un numero sufficiente di campioni per identificare biomarcatori utili e sviluppare corrispondenti reagenti, cosa che rende la sfida più complicata rispetto ad altri contesti patologici.
Lo sviluppo della ricerca sul sarcoma, di conseguenza, potrebbe trarre benefici significativi da un approccio basato sull’oncologia comparata tra cani e uomo. Questi animali sviluppano tumori spontanei che condividono la maggior parte delle caratteristiche cliniche, biologiche, eziologiche ed epidemiologiche con i tumori nell’uomo, compresa la morfologia istologica, la genetica tumorale, i bersagli molecolari, il comportamento biologico e la risposta alle terapie convenzionali (2-5. Quindi i cani possono essere un ottimo modello per valutare l’efficacia, la farmacocinetica/dinamica, la tossicità, il dosaggio, i possibili biomarcatori e gli effetti avversi dei nuovi farmaci (2). Ciò potrebbe contribuire in modo significativo a ridurre il tasso di fallimento degli studi di proof-of-concept (dimostrazioni di fattibilità, in genere studi pilota di piccole dimensioni, ndr) sull’uomo e, di conseguenza, risparmiare tempo e costi. I cani sono considerati un modello superiore rispetto ai roditori per studiare diverse malattie e relative terapie (6). L’eterogeneità e la complessità tipica dei tumori umani non può essere simulata nel modello animale convenzionale (roditore), ma è accessibile nelle popolazioni di cani da compagnia che sviluppano tumori spontanei. A differenza dei roditori portatori di tumori indotti che non rappresentano un modello ottimale in quanto le caratteristiche tumorali possono differire sostanzialmente da quelle dei tumori spontanei in termini di complessità strutturale e genetica, il cancro nei cani da compagnia si sviluppa naturalmente nel contesto di un sistema immunitario intatto, che è caratterizzato da una crescita tumorale per lunghi periodi di tempo in un ospite con uguale costituzione genetica e microambiente tumorale, sviluppando recidive e metastasi in siti rilevanti e distanti (2). Rispetto ai roditori, i cani hanno capacità enzimatiche del fegato simili all’uomo e le grandi dimensioni del corpo dei cani facilita la raccolta di campioni di siero, urine e biopsie tissutali seriali nello stesso paziente durante l’esposizione al trattamento (2).
I sarcomi nei cani e lo studio di terapie
Lo sviluppo più rapido del tumore consente di effettuare studi più brevi per la valutazione della terapia. Inoltre, i sarcomi spontanei sono tumori relativamente frequenti nei cani. Nel caso dei sarcomi dei tessuti molli, sono 10-20 volte più comuni rispetto all’uomo e presentano lo stesso quadro di alterazioni cromosomiche (traslocazioni e aggiunte/perdite di basi) (7). Il genoma del cane è stato sequenziato ed è disponibile per diversi cani di razza pura. Le razze hanno una variabilità genetica molto ridotta (di sette volte) rispetto alla popolazione canina, ed è quindi più facile riuscire a identificare i cofattori di rischio per centinaia di patologie ereditarie (5, 7, 8), condizione che è stata ampiamente sfruttata per studiare i tumori (9, 10). L’incidenza di alcuni sarcomi in specifiche razze raggiunge il 25% dell’intera popolazione, come nel caso dei Bovari del bernese, affetti da sarcomi istiocitici (11). Questa condizione compensa la rarità di diversi sarcomi nell’uomo ed è stata riconosciuta dal NIH (National Institute of Health) Comparative Oncology Program che sta conducendo diversi studi precoci nei cani insieme al Children’s Oncology Group in Nord America (12). Sono già stati avviati progetti di profilazione molecolare (che permette di definire le caratteristiche molecolari del tumore, ndr) dei cani pazienti per consentire un confronto diretto tra i modelli e l’uso delle informazioni desunte dai cani per migliorare gli studi clinici di medicina personalizzata nell’uomo (13, 14).
C’è anche una questione etica relativa alla scelta dei cani da compagnia come modello per le malattie umane rare. Questi animali sono malati terminali per i quali qualsiasi nuova terapia potrebbe essere vantaggiosa. Pertanto, anziché sacrificare gli animali da laboratorio, si trattano animali malati che possono avere accesso a soluzioni terapeutiche nuove e potenzialmente efficaci con il solo consenso dei proprietari, senza la necessità di coinvolgere commissioni etiche. Sul versante della ricerca, quest’ultimo aspetto costituisce indubbiamente un’opportunità di semplificazione nell’organizzazione delle attività.
Bibliografia